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05/07/2021
Pubblicazioni economiche

Focus: rischi e opportunità della delocalizzazione virtuale

Focus: rischi e opportunità della delocalizzazione virtuale

La pandemia finirà, ma i cambiamenti culturali che ha generato continueranno a plasmare l'economia negli anni a venire. Tra questi, la normalizzazione dello smart working è una delle più rilevanti. Il grande esperimento di smart working forzato dovuto al lockdown ha infranto molti miti in merito all’efficacia del lavoro a distanza. Con lo sdoganamento dello smartworking, non più un tabù, i datori di lavoro saranno sempre più tentati di assumere talenti in smart working nei paesi emergenti. A tal proposito, molte economie emergenti stanno già rapidamente recuperando terreno sull'istruzione e sullo sviluppo tecnologico; e i costi del lavoro sono decisamente inferiori.

Sempre più lavori d'ufficio saranno svolti nei paesi emergenti e quindi virtualmente esportati nei paesi ad alto reddito con costi inferiori rispetto a quelli domestici. Questa tendenza verso la delocalizzazione virtuale" è trainata da forti stimoli finanziari. Ad esempio, le aziende in un paese come la Francia risparmierebbero circa il 7% dei costi del lavoro se 1 lavoratore su 4 fosse virtualmente delocalizzato. Coface stima in circa 160 milioni il numero totale di posti di lavoro in smart working nelle economie ad alto reddito; mentre il numero di potenziali smart worker nelle economie a basso e medio reddito si aggira intorno ai 330 milioni.

Per i paesi ad alto reddito, la delocalizzazione virtuale su larga scala potrebbe diventare una fonte di rischio politico. Le pressioni della concorrenza globale potrebbero generare ansia economica tra i lavoratori, alimentando la polarizzazione politica. Al contrario, per le economie emergenti, la delocalizzazione virtuale potrebbe diventare il pilastro del loro modello di sviluppo. Allo scopo di individuare i paesi che possono diventare potenziali hub virtuali, Coface ha realizzato un indicatore basato su quattro criteri: capitale umano, competitività del costo del lavoro, infrastrutture digitali e contesto imprenditoriale. Le economie a basso costo del lavoro e grandi risorse in termini di potenziali smart worker (come India, Indonesia o Brasile) sembrano pronte a seguire questa strada. Questo vale anche per paesi con un capitale umano e tecnologico relativamente forte, come la Polonia. Cina e Russia sarebbero, sulla carta, destinazioni virtuali ideali per la delocalizzazione, ma le crescenti tensioni geopolitiche e di sicurezza informatica con l'Occidente sono un ostacolo significativo.

Negli ultimi decenni di globalizzazione, la delocalizzazione dell'attività industriale e l'aumento delle catene di approvvigionamento globali sono state uno dei principali motori di crescita della produttività. Negli ultimi anni, tuttavia, i guadagni di produttività derivanti dalla delocalizzazione dell'attività industriale sembrano essere diminuiti.

A causa del forte indebitamento aziendale nel 2020, le imprese saranno più che mai sotto pressione per diventare competitive in termini di costi. Un'opzione sarà quella di intensificare la delocalizzazione di servizi e attività ad alta intensità di conoscenza verso paesi a basso costo di manodopera. Questa tendenza non è nuova: paesi come India e Filippine sono già centri di delocalizzazione per TIC e servizi alle imprese. Quello che è cambiato è la capillarità del lavoro da remoto. In effetti, fino al 40% della forza lavoro dell'UE ha svolto forme di smart working regolare durante il primo lockdown, nel secondo trimestre 20202. Positivamente sorpresi dalla produttività dei propri dipendenti in remoto3, la mentalità ha rapidamente iniziato a cambiare. Il concetto "se si può fare da casa, si può fare dall'estero" è sicuramente una esagerazione, tuttavia le aziende sono sempre più attratte dall'idea di una forza lavoro virtuale parzialmente globalizzata.

Su un campione di 330 grandi imprese statunitensi, la percentuale disposta ad assumere lavoratori a tempo pieno in remoto residenti all'estero è salita al 36%, rispetto al 12% pre-pandemia4. Pertanto, è probabile che le aziende recluteranno sempre più lavoro qualificato nel Sud globale5 grazie all'innovazione digitale, tema particolarmente sostenuto dall'economista Richard Baldwin6. Il fenomeno della delocalizzazione virtuale (o "tele-migrazione", come lo chiama Baldwin) non ha bisogno di diventare la normalità per avere un significato macroeconomico, in quanto deve solo coinvolgere una quota sufficientemente ampia del lavoro attualmente svolto nelle economie.

 

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1 - Vedi Den Butter & Pattipeilohy: “Productivity gains from offshoring” (Tinbergen Institute Discussion Paper, 2007) o Tillmann: “Offshoring, domestic outsourcing, and productivity: Evidence for a number of European countries” (Kiel Working Paper, 2012)
2 - Eurofound: “Living, working and COVID-19” (COVID-19 series, 2020)
3 – Il PwC’s US Remote Work Survey (edizione dicembre 2020) riporta che il 52% dei manager ritiene che la produttività sia migliorata durante il prolungato periodo di lavoro da casa.
4 - The Conference Board: “Adapting to the Reimagined Workplace: Human Capital Responses to the COVID-19 Pandemic” (2020)

5 - Utilizziamo “Global South” come abbreviazione sia per i paesi a basso reddito che per i paesi emergenti a reddito medio.
6 - Baldwin: “The Globotics Upheaval: Globalisation, Robotics, and the Future of Work” (Oxford University Press, 2020)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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