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07/07/2020
Pubblicazioni economiche

Focus pagamenti Asia-Pacifico

Focus pagamenti Asia-Pacifico

focus: studio sul comportamento di pagamento delle imprese in asia-pacifico

Lo studio annuale Coface sui pagamenti delle imprese in Asia valuta il comportamento di pagamento delle imprese in nove economie in Asia-Pacifico. La raccolta dei dati è avvenuta nel quarto trimestre 2019, prima della pandemia di COVID-19, sulla base di oltre 2500 imprese intervistate nella regione. Il 2019 caratterizzato dalle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina.

Malgrado i disordini commerciali, la regione (ad eccezione della Cina) ha assistito ad una iniziale ripresa, favorita dai cambiamenti nelle catene di approvvigionamento e maggiore liquidità da parte della Federal Reserve statunitense. La ripresa sarà di breve durata, dal momento che la pandemia di COVID-19 minaccia fortemente le prospettive di crescita, con numerose economie nella regione che prevedono la contrazione più forte dalla crisi finanziaria asiatica negli anni 1997-1998. Su una base ponderata del PIL, il tasso di crescita delle economie asiatiche diminuirà dello 0,3% nel 2020 (-0,65% ad eccezione della Cina). Questo può essere paragonato al tasso di crescita del 4,6% del 2019, o addirittura al tasso del 1998, che – malgrado tutto – era ancora più elevato: 2,9% (0,76% esclusa la Cina). In tale contesto, Coface prevede che le imprese e i settori che hanno continuato a subire pressioni nel 2019, si troveranno in una posizione peggiore dovendo affrontare le sfide legate alla pandemia di COVID-19 e alla recessione globale nel 2020.

Il 65% delle imprese intervistate ha dichiarato ritardi di pagamento nel 2019, rispetto al 63% nel 2018. Ad eccezione della Cina, i ritardi di pagamento più lunghi sono stati registrati in Malesia (84 giorni) e Singapore (71 giorni). I paesi che hanno registrato l’aumento più elevato dei ritardi sono Thailandia (da 6 a 69 giorni), Malesia e Taiwan (entrambi da 2 a un massimo di 67 giorni). Le differenze sono evidenti anche tra i settori.

I settori dell'edilizia, delle TIC e dell'energia hanno osservato i ritardi di pagamento più lunghi, con rispettivamente il 24%, 28% e 26% degli intervistati che ha riportato ritardi pari a 120 giorni o più. Ritardi di pagamento e rischi di flusso di cassa vanno spesso di pari passo. Per valutare i rischi del flusso di cassa, Coface analizza il rapporto tra ritardi di pagamento prolungati (oltre 180 giorni). Quando questi rappresentano oltre il 2% del fatturato annuo, il flusso di cassa di un'impresa può essere a rischio. La percentuale di intervistati che ha dichiarato ritardi prolungati superiori al 2% del fatturato annuo è scesa al 31% nel 2019, in calo dal 38% nel 2018. Tuttavia, un’analisi più approfondita rivela che questa “ripresa” è ambigua: il numero di imprese che registra ritardi prolungati superiori al 10% del fatturato annuo è rimasta costante nel 2019 (13%); questo rivela che i rischi di flusso di cassa si sono deteriorati in alcune regioni e settori. Ad eccezione della Cina, la percentuale più elevata di imprese con ritardi di pagamento prolungati superiori al 10% del fatturato annuo è stata osservata in Malesia (7%), Singapore (7%) e Thailandia (6%). Allo stesso modo, la percentuale di paesi con ritardi prolungati superiori al 10% del fatturato annuo è stata la più elevata per i settori dei trasporti, dell’energia e delle costruzioni. Anche questi settori hanno registrato un deterioramento rispetto al 2018.

La maggior parte delle imprese intervistate (48%) ha dichiarato che la causa principale dell’aumento dei ritardi sono state le difficoltà finanziarie dei clienti, dovute principalmente alla forte concorrenza che impatta sui margini (41%) e alla mancanza di risorse finanziarie (22%). Nel contesto di uno slancio di crescita molto più debole nel 2020, ciò non è di buon auspicio per le imprese nelle economie e/o settori in cui i rischi si sono accumulati negli ultimi anni. Ciò è ancora più preoccupante considerando lo scarso ricorso all’assicurazione dei crediti, con il 50% degli intervistati che dichiara di non utilizzare strumenti per mitigare i rischi di credito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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