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17/12/2014
Rischio Paese e Studi economici

«Low-flation» in Francia, segnale di un cambiamento nel ritmo di crescita

«Low-flation» in Francia, segnale di un cambiamento nel ritmo di crescita

Colpita da inflazione in rallentamento («low-flation») e crescita stagnante, la Francia potrebbe non sottrarsi al circolo vizioso del calo dei prezzi. Senza arrivare agli estremi della Grande depressione degli anni ’30 negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei, è possibile un lungo periodo di stagnazione dei prezzi, analogamente a quanto è avvenuto in Giappone fra il 1990 e il 2010? E quali sarebbero gli effetti sull’economia francese e sulle sue imprese?

20 anni di «low-flation» in Giappone: cosa abbiamo imparato?

Il Giappone ha vissuto 20 anni di «low-flation»: fra il 1990 e il 2010, la crescita è stata in media di +1% e l’inflazione +0,3%. Con una economia surriscaldata negli anni ’80 a seguito della sua
apertura, il Giappone ha registrato una prima ondata di insolvenze all’inizio degli anni ’90.
Molte imprese, caratterizzate da scarsa redditività, indebitamento ed eccesso di capacità, hanno subito un irrigidimento delle condizioni di credito da parte delle banche, a loro volta
indebolite da un’inflazione galoppante e in seguito dalla deflazione. Dopo una breve pausa nel 1997, anno in cui i prezzi sono ripartiti al rialzo grazie all’aumento dell’IVA, il periodo di «lowflation» è proseguito fino al 2010, con un nuovo picco di insolvenze nel 2001, provocato dalle ristrutturazioni delle banche.

Diversi fattori spiegano questo lungo periodo di stagnazione dei prezzi. Prima di tutto, il consolidamento del sistema bancario è intervenuto troppo in ritardo. Poi, la politica di «tasso zero» della Banca del Giappone si è rivelata inefficace: l’ampia offerta di moneta non ha avuto effetto sull’economia reale. Infine, con la crescita reale del Giappone al di sotto di quella potenziale in questo periodo, il mancato utilizzo di capacità produttiva ha determinato il ribasso dei prezzi.

Il rischio di una deflazione profonda è lontano, ma quello di un periodo prolungato di «low-flation alla giapponese» è concreto

Ci sono varie ragioni per ritenere che la Francia abbia modo di evitare la deflazione vera e propria. Una è la relativa resilienza dei salari. L’ampia disponibilità di liquidità a buon mercato e una banca centrale innovativa e presente per garantire la stabilità finanziaria è un altro fattore di sostegno dei prezzi. Ecco ciò che mancava drammaticamente negli anni ’30, ed è ciò che dovrebbe permettere all’area euro di sottrarsi alla trappola della deflazione.

Per contro, la probabilità di registrare un periodo prolungato di «low-flation» e di crescita debole come è successo in Giappone a partire dagli anni ’90 sembra più alta. In effetti, dal 2011 sia la crescita che l’inflazione hanno mostrato una tendenza ribassista. Secondo le previsioni di Coface, la crescita del PIL non dovrebbe superare lo 0,4% nel 2014 e lo 0,8% nel 2015, cioè un livello nettamente inferiore a quello del 2011 (2,1%). Allo stesso modo, i prezzi al consumo sono aumentati solo dello 0,5% in un anno (a fine ottobre 2014) e l’inflazione dovrebbe attestarsi in media sullo 0,7% nel 2015, contro il 2,3% nel 2011. Tuttavia diversi elementi inducono a contestualizzare questo rischio. L’attuale situazione del settore bancario francese appare migliore di quella delle banche giapponesi negli anni ’90. E la dimensione degli eccessi del settore immobiliare francese è inferiore a quella del Giappone all’epoca.

Quali rischi e opportunità per le imprese francesi?

Come in Giappone negli anni ‘90, la «low-flation» attuale in Francia è una conseguenza indiretta della crisi.

Questo calo simultaneo della crescita e dell’inflazione deriva soprattutto da una domanda debole, il che si verifica tipicamente in periodi successivi a una o più crisi. L’esistenza di eccesso di capacità produttiva (il tasso di utilizzo della capacità resta al di sotto della media pre-crisi) rende molti settori industriali particolarmente esposti al rallentamento dell’inflazione. In tale contesto, le imprese preferiscono fare liquidità e ridurre il debito piuttosto che investire, con effetti controproducenti per le loro prospettive di crescita a medio termine.

In un’ottica a più breve termine, la «low-flation» offre qualche vantaggio per l’economia francese. In primo luogo favorisce il potere d’acquisto delle famiglie, e con esso i consumi, che restano l’elemento chiave per alimentare la crescita. Dal lato delle imprese, oltre alle condizioni di finanziamento favorevoli in virtù dei bassi tassi di interesse, la diminuzione dei prezzi alla produzione – derivante in particolare dal calo del prezzo del petrolio – ha un impatto positivo sui margini delle imprese. Non sorprende che la chimica e i trasporti siano i principali beneficiari del recente ribasso dei corsi mondiali del petrolio.

Al di là di tali effetti di breve termine, un periodo prolungato di «low-flation» è il segnale di un cambio del ritmo di crescita: meno crescita, meno inflazione, ma anche migliori condizioni di finanziamento e minor aumento dei costi di produzione per le imprese. L’anno 2014 lo conferma: sebbene sia storicamente necessaria una crescita del PIL superiore a 1,6% affinché in Francia si riduca il numero di insolvenze d’impresa, queste ultime si sono stabilizzate (per il 2014 ci si attende un leggero calo di -1,2% rispetto al 2013), nonostante una crescita del PIL dello 0,4% soltanto.

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